Sono gli ultimi giorni prima della sessione d’esame. La popolazione degli studenti è in subbuglio e io non faccio eccezione. Mentre i guru della mente inventano metodi di ogni tipo contro lo stress, preferisco provare un rimedio all’antica, che consiste in quattro passi e un bel pranzetto. La giornata è soleggiata, non troppo fredda, però in inverno il desiderio di coccolarsi in un luogo confortevole è fisiologico. Serve un locale intimo, vissuto, della Pavia vecchia che in un certo senso non passa mai. All’Osteria della Madonna sembra di sedere nella cucina di Artusi. Pentole, cocci, arnesi, bottiglie decorano le pareti, il camino e i mobili in legno massiccio.
Con queste premesse, quando leggiamo sul menù “antipasto misto dell’osteria”, la decisione è unanime. Insieme a pane, focaccia e grissini artigianali ci raggiunge un delizioso Pinot Nero, che tinteggia il calice, sprigionando il suo aroma potente. Aspettare in tale compagnia non è un fastidio, specie se si riceve un amuse bouche dallo chef: intingere il sedano nella panna fresca montata con pepe e limone è una golosità inattesa quanto gradita.
La tavolozza degli antipasti, che entra a stento nell’inquadratura, è un trionfo di territorialità. Salumi sopraffini, misticanza con pollo, rosso d’uovo e melagrana, crocchette di baccalà e di prosciutto crudo raccontano solo una parte della storia. Sono la tenerezza del carpaccio di manzo, l’agrodolce delicato della giardiniera sulle foglie di lonza a conquistarmi, quando ancora non ho idea di che cosa seguirà.
Ordinando baccalà alla mallorquina con salsa ajoli, avevo immaginato un piatto molto diverso, certo più banale. Invece il pavè di pesce poggia su un medaglione assemblato con patata e melanzana polposa. A fianco le verdure formano una sorta di bouquet variopinto: ora una falce di zucca arrostita, ora un pomodorino, ora una pannocchietta, ora lo scalogno, distribuiti intorno a un ciuffo di puré. “E la salsa ajoli?”, mi domando di primo acchito. Poi capisco. È sopra, a gratinare il filetto di baccalà, impalpabile e dorata come un velo di besciamella. Il risultato è un connubio sublime, direi raro, sicuramente inedito per me, in cui il pesce mantiene la propria sostanza, ma guadagna in gusto e morbidezza.
Si tratta di sapori impegnativi, che chiamano un dessert rinfrescante. All’Osteria tutti i dolci sono prodotti in casa, compresi gelati e sorbetti. Proprio il sorbetto alla Bonarda attira la mia attenzione e non delude. Servito in una coppa da cocktail sofisticato si scioglie come una granita fruttata e finissima.
Da tempo non mi capitava di assaggiare qualcosa di nuovo e sorprende che oggi succeda in un ristorante a vocazione tradizionale. Rigenerata da questo piacevole paradosso, sono pronta a tornare ai miei libri.