Non nascondo che a un certo punto ci siamo chiesti se saremmo mai arrivati, ma segretamente esultavo perché – si sa – i posti migliori sono quelli che vanno scovati. E così abbiamo arrampicato, fiduciosi, fino alla terrazza della Corte del Noce. Ci accomodiamo tra le mura settecentesche, al riparo da una serata tutt’altro che estiva.
Il cestino di pane, anzi di pani, fatti in casa è composto da un duetto di bocconcini al nero di seppia e al mais, grissini alla curcuma, sfilatini alle olive e una pagnottella con lievito madre.
Quasi a premiare la difficile scelta dal menù, viene servita una spuma di Spritz, da sorbire insieme a un assaggio di insalata russa artigianale corredata da un petalo impalpabile di spalla cruda di Palasone.
Comincio da un antipasto fedele al territorio. Spacchetto il tortino di lavarello spinato, appena tostato all’esterno, per intingere ogni boccone nel ridotto di carpione. La cipolla rossa appena scottata e la tartare di sedano agrodolce sferzano il gusto compatto e caldo del pesce, trasformando il piatto in un dialogo a più voci.
Nella portata successiva ho il privilegio raro di stupirmi con i tagliolini “Berghem Mola Mia”. Un nido di pasta fresca al mais, vestito da un cremoso di Agrí di Valtorta, nasconde tenere lumache di vigna. Il formaggio esalta la nota terrestre, perfino boschiva delle lumache, insinuando nella dolcezza familiare della farina gialla una vena selvatica estremamente accattivante.
Deliziata sorseggio l’ultimo Marzemino in attesa di un sorbetto ai lamponi su letto di macedonia fresca, che si rivela vellutato sui frutti croccanti spruzzati di zucchero e limone.
Il congedo dello chef è l’ennesimo saggio di tecnica: soffi di meringa racchiudono un ciuffo di panna e cannella, mentre un cubetto di anguria imbevuta di prosecco si presta al compito di dissetare.
