
Sono rimasta incerta sulla porta e ho lasciato che qualcun altro rispondesse “Sì, abbiamo prenotato”. Faticavo a ricordare i passaggi convenzionali, lo script dell’andare al ristorante. Ma quando ho preso posto al nostro tavolo appartato, menù alla mano, è stato di nuovo tutto naturale.
Nonostante le molte alternative invitanti e particolari a base di selvaggina, la scelta per me vira sul pesce: troppa la nostalgia di mare e vacanze.
Grissini artigianali e pane precedono di poco l’amuse-bouche. La gentilezza dello chef è un boccone di merluzzo fritto su purea di mela verde. Lo scrigno è friabile e sonoro sotto la forchetta, mentre la punta agre del frutto arriva dissetante alla fine.
Mi guardo intorno, chiacchiero. Il Pinot bianco altoatesino Girlan è un minerale profumato.
L’antipasto si presenta come una fantasia di colori. Una dadolata di tonno fresco forma una scia i cui estremi dolcissimi sono gamberi di Mazzara. Sullo sfondo una vinaigrette alla menta condisce il gusto crudo e puro della pietanza, mentre la sfera di sorbetto agrumato alla melissa pizzica piacevolmente il palato.
Dal mio commensale assaggio un ciuffo di baccalà mantecato intinto in crema di piselli e polvere di mandorle. Cubetti di cedro candito decorano i dintorni dei cannoli salati, perfettamente riusciti per brunitura e fragranza, mentre quenelle tiepide di baccalà con polpa di riccio delimitano la composizione.


Salutiamo soddisfatti e ci tuffiamo nell’aria già primaverile di Pavia, rigenerati dal barlume di normalità ritrovata.