Oggi sono felice perché ho una storia da raccontare. Breve, certo, e semplice, ma in un senso commovente. Ogni famiglia ha i propri miti, per cui ciascuno può esordire: “Ti ricordi quel posto…”, e tutti lo intendono. Nel nostro particolare repertorio figurava un luogo dal nome evocativo, “Il Crotto del sergente”. Vi ho cenato un paio di volte con i miei genitori, in occasioni speciali, molti anni fa, molto prima di aprire un blog enogastronomico. Da allora mai più avevo osato tornarci, forse nel timore, a distanza di tempo, di sciupare la memoria con una delusione. Poi ieri, all’improvviso, ho raccolto il coraggio per rischiare e ho prenotato.
Edo e io deviamo di diversi chilometri rispetto al percorso abituale verso il lago, perimetrando Como fino alla località Lipomo, punto in cui si imbocca la salita asfaltata che conduce al cortile del ristorante. Il paesaggio è ameno, protetto da una corona di frasche, che sfiora la veranda pergolata. L’interno si può definire un ambiente caldo grazie al concerto di legno, bottiglie d’annata e ceramiche nel costituire l’arredamento. Perla del locale è la sala grotta con una di quelle basse volte a botte che amo tanto. Vi riconosco il tavolo dove ci sistemarono durante l’ultima visita. Al termine dell’esplorazione, mi accomodo nel cantuccio a noi riservato vicino a casse di whiskey invecchiato, impaziente di cominciare il pranzo.
Insieme alle carte arriva pure un gradito spuntino a base di battuto di lardo e crostini a conciliare la scelta.
Benché abbia adocchiato varie proposte invitanti- pasta fresca al ragout di pecora brianzola in primis- miro dritta a un piatto che mi manca da agosto: le lumache. Immagino nasi storti a questa affermazione. Ebbene sì, sono una prelibatezza, o le si adora o le si odia e io ne vado pazza. La ricetta proposta dal Crotto mi colpisce in quanto si discosta da ogni versione abbia assaggiato in precedenza. Si tratta di una crema di Roveja, su cui viene adagiata una “zattera” di polenta che ospita le lumache sgusciate e trifolate. L’equilibrio è perfetto: tra il dolce dei molluschi e l’amarognolo della vellutata, si inserisce, come un bilanciere, la mattonella di mais e saraceno. In abbinamento vi sorseggio l’ottimo calice di Zapel “Rainoldi” che mi viene suggerito.
Devo menzionare, poiché l’ho provato con piacere, il raviolone all’ossobuco di vitello con fondo allo zafferano di Faloppio, soffice di midollo e rafano. Il ripieno è compatto, eppure morbito e delicato, adatto a non sovrastare l’aroma prezioso dello zafferano.
Assecondando la mia curiosità, il maitre mi conduce in cucina, dallo chef Bruno Camera, il quale si rivela davvero disponibile. Le lumache provengono da Montano Lucino, l’aglio Orsino, il tarassaco, le erbe e i frutti di bosco da un orticello recentemente approntato, che Bruno mi mostra. Quando scopro che è al Crotto dal 2005, non posso evitare di nominargli la creazione con cui un decennio orsono mi hanno deliziato: millefoglie allo storione e verdurine. Ci riflette un attimo, poi gli sovviene e ringrazia del complimento. Lo saluto colma di gioia e di poesia.