Il sabato sera palpita sulle vie d’acqua di Milano. Le luci galleggiano insieme alle voci annunciando la processione festosa dell’aperitivo. I primi freddi hanno messo a Edo e me un certo languorino, così, tra una vetrina vintage e l’altra, cominciamo a rivolgere qualche occhiata all’offerta dei ristoranti. Ed è allora che sale il desiderio di sentirsi neofiti, per cui urge cambiare continente. Un lungo calice di Lacrima di Morro a Chinatown, da Cantine Isola, quindi quattro passi ci conducono alle altitudini del Nepal, sotto l’insegna di Achar. L’ambiente raccolto tra tinte tenui mostra squarci sgargianti di maschere tradizionali.
Il menù parla pahrari, ma la nostra guida parla italiano e si aggira per i tavoli. Affidarsi ai suoi consigli si rivelerà una decisione avveduta. L’agnello, ormai bruno, risalta sul fondo scarlatto dei piatti, la cui composizione cromatica è arricchita da insalata mista (cavolo cappuccio carote cetrioli e pomodoro), riso basmati e cetriolo marinato. Quando René motiva la scelta della cottura su pietra lavica, abbiamo già saggiato quanto essa sia effettivamente superba. Tagliare i bocconi di agnello è un’esperienza multisensoriale, perfino uditiva, perché la patina esterna della grigliatura si sfoglia emettendo croccanti sinfonie, che anticipano un cuore chiaro e tenero. Le otto spezie segrete della marinatura -pestate fresche al mortaio e perciò fragranti- unite a coriandolo, zenzero, chiodi di garofano, cumino, limone e alloro esplodono tutte insieme, al termine di ogni morso. Il contorno di cavolfiore, carote e patate offre una pausa delicata e cremosa grazie al pesto di sesamo punto da zenzero e coriandolo. Soddisfatti del viaggio, è un piacere salutare René e rivolgere i nostri complimenti a Bibek, giovane maghetto dei fornelli.
Torneremo, è una promessa, poiché il panorama culinario nepalese è ancora molto vasto.