Hai viaggiato per undici ore e le parole che riesci ad articolare si riducono a “fame” e “letto”, proprio in quest’ordine. Un ragionamento elementare ha portato me e Edo a procacciarci una cena nel ristorante invitante più prossimo all’hotel, situato nel centro storico della graziosa Bethune. Un giovane cameriere, colui che ci seguirà con pazienza in una selva di domande e curiosità, dispone un tavolino al piano superiore del locale. Mattoni rossi a vista, vetrate ampie, arredo retrò e la bicicletta in ferro sospesa si accordano al nostro bisogno di riposante penombra. La carta, mutevole secondo disponibilità, offre come speravo una prospettiva gastronomica sulle Fiandre. Due calici di “Chateau d’Arcins Haut-Medoc” corposo si sposeranno a meraviglia con le pietanze fiamminghe che ci vengono suggerite. Intanto pilucchiamo frutta secca salata e baguettes mignon. Quando servono i piatti sono elettrizzata perché assaggerò qualcosa di mai sperimentato. Certo non prima di aver assaporato la carbonnade aromatizzata allo zenzero, dove il manzo si abbandona felicemente nel proprio sugo agrodolce.
Non amo la gelatina, ancora meno il maiale, eppure vengo conquistata dalla terrine di potjevleesch. Si tratta di un bollito assortito di pollo, tacchino e maiale locali sotto gelatina, accompagnato da verdure croccanti in vinaigrette. L’equilibrio che si stabilisce tra il corpo della carne e la freschezza piccata dei vegetali rende l’insieme raffinato, nonché adatto all’estate contro ogni apparenza. Un sorriso ci augura bonne soiree, mentre un vento belga spazza le vie. Domani sarà arduo resistere alla tentazione di tornare al “Potin de casseroles”.
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