Abbiamo dovuto aspettare un mese perché la primavera mostrasse il suo volto migliore, il sole, i colori, la brezza profumata, ma una volta che ciò accade bisogna agire. Il Monterosso Val d’Arda festival mi è balzato all’occhio quasi per caso, anzi per fortuna. La cornice di Castell’Arquato, uno dei borghi più belli d’Italia, suggeriva l’occasione di una gita che appagasse il gusto e lo spirito.
Il piacentino ci accoglie con vecchi casali, aziende agricole, colli che dolcemente si sciolgono in distese ordinate di campi. In cima a poggio si arrocca la nostra meta sotto un cielo limpido. Muniti dei calici ufficiali, imbocchiamo la via acciottolata che arrampica verso il centro antico, scandita dalle stazioni di degustazione curate da diverse cantine. Assaggio un Monterosso Illica, pressoché fermo rispetto alla media di questo vino aromatico da aperitivo, che mi prepara alle strutture assai corpose del rosso “Le Mura” di La Caminà da uve Barbera-Merlot o del Cabernet Sauvignon dei produttori di Les Caves de Régusse provenienti dal paese provenzale Carry le Rouet, gemellato con il comune ospite.
Tra un sorso e l’altro mi lascio ingolosire da conserve artigianali, ampolle di aceto balsamico e dal gusto pastoso, intenso dei formaggi in pura capra firmati “Capriss“. Cammina, cammina, guadagniamo la piazza del Municipio, dove pullulano locali tipici, circondati dal panorama riposante delle campagne emiliane. Chisolini (schiacciate fritte) e giardiniera abbondano insieme a tavolozze di salumi del territorio.
Il Ristorante la Rocca da Franco è appartato in un vicolo laterale, a picco sul fianco dell’altura. La penombra dell’ingresso riposa la vista dalla luce accecante che invade i portici esterni. È tardi, tuttavia quattro posti accanto alle vetrate sono pronti a riceverci. Il menù non esiste, l’unica regola è rilassarsi, affidando i sensi alle sorprese inviate dalla cucina. Fiocco di culatello, coppa e salame di qualità eccelsa precedono tartine con mousse di gorgonzola e Parmigiano, esaltata da composta di fichi e granella di pistacchio, frittatina di porri e piselli sulla loro vellutata, per terminare con melanzane sott’olio condite con pesto di erbe, peperone e mandorle, la cui tenerezza, accentuata dall’extravergine, è sublime. La specialità della casa è costituita dalle paste fresche, di cui ci viene proposta una selezione: ravioli a treccia piacentini di ricotta e spinaci (sfoglia verde e gialla) saltati al burro e salvia con cappelletti ripieni al radicchio, seguiti dai classici pisarei e fasö, dal sugo cremoso, deliziosamente amalgamato. La sfoglia è uno scrigno integro e sottile, gli gnocchetti si confondono per dimensioni e morbidezza ai borlotti.
La sbrisolina casereccia alle mandorle conclude il pasto sontuoso, richiamando con la sua croccantezza burrosa l’aroma mielato di un passito. Esplorando gli edifici medievali, percorriamo a ritroso la salita compiuta al mattino, ora divenuta discesa, imabattendoci nei fratelli Saccomani. Il loro passito è una vera poesia che disegna nel bicchiere archi densi e speziati, mentre il bianco fermo e macerato è per me l’ultima scoperta, prima di ripartire.
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Monterosso Val d’Arda Festival 2019
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