Camminare intorno a Porta Venezia significa, a ogni insegna, cambiare Paese. Africa, India, Vietnam si alternano da una via all’altra in modo così vertiginoso, che non è semplice scorgere l’elegante brasserie svedese sotto la scritta Björk. Pareti in marmo bianco e carta da parati variopinta incorniciano arredi minimali, che filano sulle linee pulite e calde del legno boreale. In tavola una candela illumina la scodella contenente pane bianco e ai semi e fogli croccanti a base di segale, yogurt, aneto (knäkebröde), affiancata da una quenelle di burro salato. La cucina ci intrattiene con un tiepido assaggio di salmone affumicato, crème fraîche, sambuco e aneto finché non giunge l’antipasto. Isole di prelibatezze costellano il tagliere: ad impalpabili filetti di aringa marinati ora alla senape -lievemente amari-, ora alle verdure -dissetanti-, ora alla Brantevik (cipolla e pepe nero) -agrodolci dal finale piccante- risponde un mattoncino di formaggio saporito e pastoso, sopra croccanti veli di segale. L’acido lascia il posto, nella portata principale, al gusto liscio e rotondo della zuppa bianca con merluzzo e salmone selvaggio. L’impatto cromatico rispecchia il mare, uniforme in superficie, ma variegato in profondità. Infatti, nel brodo latteo si distinguono le bolle color prato dell’olio alle erbe e turgidi cubetti di tuberi e carote. A sorprendere sono la temperatura, fresca, e la sinfonia di consistenze che diventano aroma, dove liquido, morbido e succoso si rincorrono di boccone in boccone. Alla fine tuffarvi del pane scuro è quasi un gioco, una sfida per scoprire l’ennesima nota nascosta fra gli ingredienti, mentre davanti a me Edo divora un filetto di renna ai mirtilli cotto a puntino. Soddisfatti del viaggio non ci resta che inviare complimenti allo chef svedese e, a chi la leggerà, questa cartolina, prima di tornare a Milano.