Siete a Milano, quartiere di Porta Romana, sala da pranzo della città. Nel pomeriggio, sapendo di dover andare a teatro nella zona, avete telefonato a decine di ristoranti per prenotare la cena, ma vi hanno respinto inesorabilmente: “Siamo al completo”. Il mio ragazzo Edo e io camminiamo verso il Franco Parenti, consapevoli che il pasto, questione comunque delle dieci di sera, dopo lo spettacolo, sarà una dura conquista. In una traversa appartata una luce attrae la nostra attenzione. Un’insegna, “Al maggese”, un ristorante, minuscolo, 17 coperti. M’innamoro a prima vista, così entro a supplicare la giovane responsabile di sala perché ci tenesse un posticino in seconda serata. “Vi aspettiamo”, la risposta.
Con gioia al termine della pièce copriamo i trecento metri che ci separano da quel rifugio appartato, un’isola nella selva modaiola e chiassosa degli altri locali. Civico 17, 17 coperti, ma quanta fortuna! L’arredo minimalista, quasi nordico, in cui prevale il bianco, è riscaldato da quadretti raffiguranti uccelli variopinti, da un’illuminazione soffusa e mobili in legno naturale, accuratamente scelti, che invitano a conversare. Il menù è un foglietto di carta, poiché cambia spesso, secondo disponibilità e le proposte si pongono in una dimensione parallela rispetto alle tendenze dei concorrenti. Il pane è artigianale, dal forte aroma di malto. Ordiniamo un piatto solo, data l’ora, ovvero filetto di salmerino con catalogna saltata allo zenzero, panna acida e pomodori secchi. Potrei dedicare pagine a descrivere la croccantezza perfetta della pelle del pesce, contrapposta alla tenerezza succosa della carne. Lo zenzero è il tocco geniale che affina il gusto della verdura, portandola a una punta di amaro più definita.
Basita, guardo Edo divorare con entusiasmo tutte quelle “foglie verdi”, dalle quali generalmente diffida e fugge. Stanno ormai rassettando, lo chef sbuca dalla cucina e abbiamo modo di scambiarci qualche battuta, cui lui allega anche un amaro di China gentilmente offerto. Lasciamo “Al Maggese”, con la sensazione di aver scovato un tesoro.
Ritorno n°1, 27/01/18
E’ tempo di conferme per i giudizi positivi espressi sopra. Al solito, dopo un Ibsen alquanto perturbante, Edo e io abbiamo ritrovato conforto ed equilibrio nel nostro angolo riservato da “Al Maggese”. Combattuta fino all’ultimo tra petto d’anatra e scamone d’agnello, ho infine scelto il secondo.

La carne, cotta a bassa temperatura, conservava un cuore roseo, condito perfettamente di pepe, sale e erbe, dentro un involucro bruno e saporito. La personalità dell’animale viene esaltata dal letto vellutato di topinambur, il cui gusto è reso più rotondo da un filo di evo a crudo, mentre la nota arrostita delle cime di rapa saltate conferisce una sorta di piacevole affumicatura. Purtroppo senza documentazione fotografica-perdonate la smemorina-, porto testimonianza di una piccola magia, il cui segreto preferisco lasciare allo chef, ovvero una torta al cioccolato senza farina. Pastosa e intensa, chiamerebbe un buon Barolo Chinato a suggellare il godimento completo. Eh già, ho l’impressione che mi toccherà aggiornare questo articolo ancora infinite volte.
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