Guardo fuori dalla finestra, dove incombe un cielo lattiginoso, che chi vive in Brianza conosce bene, ma rispetto al solito possiedo un’arma segreta. Una breve storia gastronomica saprà aprire brecce d’estate in questo giorno grigio. Grazie a un favoloso incantesimo, per una sera, il Lambro si è fatto Adriatico e Monza si è tramutata in Ostuni. La formula magica era stampata sulla carta di un menù composto di molti piatti creati a partire da una manciata di ingredienti veraci e freschissimi. È quasi un rito leggere ad alta voce, rosicchiando i taralli misti, integrali tondi o oblunghi ai semi di finocchio, che accompagnano il pane di Altamura. Scelgo di affidarmi ai consigli di chi serve, poiché si mostra esperto delle pietanze locali. Ci versa due calici di Malvasia bianca del Salento, la cui gialla trasparenza risplende nella luce calda della sala.
Torna il cameriere, stavolta a mani piene, e in un attimo la tavola si accende di colori. A Edo rubo un lembo di tagliata equina, alla cui sostanza succulenta si aggiungono l’affumicatura di Caciocavallo, punta dall’amarezza turgida dei lampascioni. Adesso la curiosità verso la tavolozza che ho davanti è balzata alle stelle. Nel blu oltremare di un cappello dipinto, spicca il fondo rosso di cicerchie, su cui galleggiano bocconi di spada. I legumi antichi, con il loro pastoso profumo di terra, suonano un contrappunto al pesce tenero, chiaro e aromatizzato dalle braci. Lo sponsale è un ciuffo verde nella composizione, cui conferisce una deliziosa nota sulfurea. Indovinata è pure la caponatina, richiesta a parte tra gli sfizi della carta. Appena tiepida come tradizione comanda, ha l’aspetto di un orto in miniatura, dove melanzane, zucchine, peperoni, cipolle si inseguono lungo i sentieri dell’agrodolce. Lo chef Enzo D’Angelo ci saluta, forse ignaro di aver cucinato mare e sole per la nostra fervida immaginazione.
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