E’ una giornata di sole a Milano e due donne affamate si aggirano per il Corso di Porta Romana. Mia mamma ed io abbiamo bisogno di energie fresche per affrontare il pomeriggio di spese pazze in epoca di saldi, ma, come di consueto, la selezione gastronomica viene ponderata quanto una scelta di stile. Scarpiniamo quasi un chilometro dalla fermata della metro Crocetta, in ritardo di mezz’ora rispetto alla prenotazione a causa del traffico di fine settimana, tuttavia nel locale sarebbe continuata ad affluire gente anche ben dopo il nostro arrivo. L’impatto sui visitatori è quello di un giardino dell’Eden, cui il nome Potafiori dovrebbe preparare, eppure nulla potrebbe rovinare la sorpresa, che supera qualsiasi aspettativa estetica. Il primo gesto, istintivo, che viene da compiere, è infatti impugnare il cellulare con l’otturatore pronto a catturare la bellezza effimera delle composizioni floreali, ornamento di ogni angolo.
I camerieri, lodevolemente gentili, indossano uniformi da giardinieri-grembiule grigio, camicia da lavoro- e i tovaglioli in stoffa bianca grezza, richiamano l’attrezzatura del mestiere. Notevole è il design dei bicchieri-estremamente sottili i calici da vino, più eclettici quelli per acqua-e delle posate, specie la rotondità dei cucchiai.
La cucina ci dà il benvenuto con un mazzetto di grissini artigianali, due ciotole di pane, un pinzimonio di carote e sedano, seguiti da una coppetta di riso alle verdure marinate.
L’abbinamento vinicolo è suggerito con saggezza e competenza e il fatto che tra le proposte si annoveri un’etichetta autoprodotta nel bergamasco, conferisce un valore aggiunto indiscutibile. Il menù si adatta con disinvoltura ai palati tradizionalisti, come agli stravaganti e ai più eticamente complicati (vegani o vegetariani). In attesa delle portate fate un giro tra la flora che vi circonda, annusate, divertitevi a contare i colori, magari sgrafignando una fragola dalle ampie fruttiere, che campeggiano nella sala principale.
Ma veniamo al sodo. Opto per un filetto di rana pescatrice, su letto di cicorino fresco e gocce di salsa a base di mela e menta. La cottura a vapore preserva appieno il gusto del pesce, smorzando la compattezza talvolta eccessiva della carne, la quale, morbida e succosa, si scioglie sul palato, sferzata dall’amaro dell’insalata e dalla nota dissetante della salsa.
Alla cassa veniamo omaggiate con un narciso, che siamo però costrette a rifiutare, considerata la lunga passeggiata in programma. Prima di lasciare questo paradiso terrestre, ho già pianificato quando vi ritornerò, ma lo saprete a tempo debito…