Doveva arrivare il ponte dei morti perché potessi organizzare l’uscita madre e figlia, divenuta nel tempo una sorta di miraggio. Il plumbeo autunno brianzolo induce a muoversi pigramente in provincia, senza affrontare i disagi dei trasporti metropolitani. Ma questo non significa accontentarsi. Da un po’ serbavo nella manica un nome che speravo nascondesse un asso di prima grandezza, pertanto mi sono detta che era il momento propizio per scommettervi una cena. Fin dall’ingresso tavoli gremiti, credenze in legno, muri con pietre a vista abbracciano in una dimensione domestica, capace di cancellare le strade piovose appena percorse.
Il menù è un codice a cifra unica: pesce. E in questo codice mamma e io siamo madrelingua. Il campionario di ricette tradizionali, tra cui non mancano pasta fresca e specie inconsuete, mette in crisi le mie facoltà decisionali finché scorgo Lei. Come chi ogni volta scorre l’intera lista delle pizze finendo per scegliere la stessa, così io davanti alla dicitura “zuppa di pesce” non so trattenere i bassi istinti. O elevatissimi, a seconda della prospettiva. Un calice di Vermentino di Sardegna precede l’ospite più atteso. Lei giunge a me in un’ampia padella dai manici doppi. Senza indugi annodo il bavaglio e comincio l’immersione nella sterminata varietà ittica. Polpo, calamari, cannolicchi, conocchie, mazzancolle, gamberoni, spada, cozze, gallinella, coda di rospo, ostrica affollano un piccolo mare scarlatto, sapido, dove bocconi di pane ammollato donano istanti da ottava meraviglia. Mentre i molluschi incantano per tenerezza, noto con piacere che ogni singolo crostaceo è stato mondato a dovere. Dettagli che, uniti all’ospitalità sincera di chef Franco e della sua famiglia, incoraggiano rinnovate esplorazioni.
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