Dal titolo qualcuno potrebbe pensare che volessi scrivere un remake de “Le mie prigioni”. Niente paura. Da tempo In Galera figurava nell’agenda pantagruelica e finalmente ho varcato i cancelli marziali del carcere di Bollate verso un’esperienza davvero insolita. Una locandina di “Fuga da Alcatraz” risalta per colore ed ironia tra gli arredi minimalisti della sala. Spumante di benvenuto e sfoglie salate artigianali accompagnano un amuse bouche variopinto, in cui una pista cremosa a base di peperone giallo e gorgonzola è punteggiata da bocconcini di tonno crudo. La nota dolce amara è il leitmotiv che lega gli ingredienti, raggiungendo l’apice nelle bacche di ribes rosso, mentre le mandorle tostate arrotondano il gusto e completano la gamma di consistenze.
Un equilibrio simile si stabilisce fra il cacao degli gnocchi e l’aroma vagamente selvatico, che sprigiona il ragù di fagiano in finissima grana. A Edo rubo una forchettata rapida, preoccupata che il cuore di vitella davanti a me perda il proprio lieve tepore.
La carne, soda, eppure succosa, sembra candida accostata alla fetta di speck che la avvolge come una coperta speziata. Intorno, intere, all’interno, in purea, le castagne si sciolgono in matrimonio col maci al quale aggiungono corpo, mitigandone la dolcezza.
Il ciuffo di spuma al mango costituisce l’ennesima e gradita sorpresa della cucina, di cui non mi resta che elogiare…la buona condotta.